Oliviero Mogno

MISCELLANEA
SCRITTI POLITICI

LONDRA E PARIGI DI FRONTE AL RIARMO TEDESCO
IL SIGNIFICATO D'UNA CONVERSIONE



 

 

 

   A chi segue con vigile attenzione e con non sopito senso critico le incalzanti fasi di questo sconcertante periodo politico internazionale non sarà forse sfuggita la stranezza di un fatto che ha costituito indubbiamente uno dei momenti, fino a poco fa, di maggior attrito nei rapporti fra le principali potenze atlantiche, e che poi, proprio quando la tensione diplomatica aveva raggiunto un grado di particolare quanto mal celata asprezza, si è inaspettatamente risolto con la piena vittoria della tesi americana.
   Alludiamo al problema cruciale dell'attuale momento politico e cioè al riarmo della Germania; problema sul quale la dichiarata opposizione franco-britannica pareva in un primo momento assolutamente intransigente.
   Che cosa è mai accaduto dunque per determinare poco dopo la stupefacente conversione di Bevin e, successivamente, il ravvedimento di Schuman e di Moch? Forse che, durante í recenti incontri dei ministri atlantici, Acheson e Marshall sono riusciti per virtù dialettica a convincere i colleghi europei della preminente gravità della minaccia sovietica, rispetto ai dichiarati timori per una rinascita del militarismo tedesco, e quindi della necessità impellente di costituire una forte linea di difesa avanzata? O piuttosto che i ministri europei hanno dovuto soccombere di fronte a ricatti sul piano E.R.P.?
   Spiegazioni di questo genere sono state scritte nelle righe e tra le righe di molti giornali, ma in fondo hanno convinto solo i lettori più frettolosi e disattenti, ché ai più cauti e riflessivi il problema è apparso in tutta la sua incongruente stranezza e ha lasciato forti perplessità. Ma è mai possibile che il governo francese sia tanto cieco da dover apprendere proprio dai dirigenti della politica statunitense la realtà di una situazione eminentemente europea? Ed è credibile che il governo britannico, che in tante occasioni ha dimostrato la propria insofferenza a seguire passivamente una linea di condotta non rispondente alle proprie particolari convinzioni e che, pur nella fondamentale concomitanza d'interessi con quello americano, è così acutamente geloso della propria indipendenza, abbia potuto convincersi di punto in bianco dell'opportunità di aderire a direttive fino allora tenacemente avversate di fronte a un problema di tanta importanza?
   Bisogna più ragionevolmente convenire che se l'America ha potuto imporre il proprio punto di vista, ciò le è riuscito manovrando leve più potenti delle platoniche persuasioni, toccando tasti più sensibili degli aiuti E.R.P. i quali, non dimentichiamo, non potranno mai costituire un efficace e deciso argomento di imposizione politica in quanto che rispondono a un piano economico non più essenziale all'attuazione della politica franco-britannica di quanto non lo sia a quella della politica americana. Per dipanare la matassa, per estrarre il capo dal groviglio val forse meglio porsi dal punto di vista americano dal quale, proprio per la sua maggiore distanza, si vedono i nostri problemi europei nella loro elementare ed essenziale schematicità prospettica e quindi molti dettagli si perdono nella lontana foschia.
   Al telescopio americano si scorge nel panorama europeo questa unica, possibile alternativa: sbarrare il passo alla dilagante marea russa mediante un argine di ferro o d'oro: render veramente ferrea la «cortina» con una selva di baionette tedesche, oppure accogliere la proposta russa di unificazione e neutralizzazione della Germania, ma in tal caso impedirne la progressiva bolscevizzazione, altrimenti inevitabile, profondendovi tanto denaro da crearvi una situazione economica solidissima e permanentemente legata al mondo occidentale. Entrambe le soluzioni sono ugualmente costose, forse ugualmente pericolose, tanto che da parte americana non esiste probabilmente l'assoluta predeterminazione di preferire la prima alla seconda, ma l'una o l'altra deve essere attuata senza ulteriore indugio. Non vi è evidentemente altra scelta poiché la penetrazione sovietica, lenta o violenta, nel cuore dell'Europa è il cedimento irrimediabile, la definitiva rinuncia, in favore della Russia, al ruolo di grande potenza egemonica mondiale.
   Se questo, come sembra plausibilmente, è il punto di vista di Washington, vien fatto di chiedersi come abbia potuto reagire il governo di Parigi e soprattutto quello di Londra di fronte a una simile presa di posizione americana.
   La risposta è nella storia europea degli ultimi decenni. L'aggressività teutonica che nel '39 si è rivelata nel campo militare, nel '14 s'era manifestata principalmente in quello economico, ed è ben noto che mentre nel '39 la Gran Bretagna e la Francia fecero ogni possibile sforzo per evitare la guerra, altrettanti sforzi non fecero nel 1914. Il pericolo di una imminente ripresa dell'aggressività economica tedesca allarma indubbiamente i britannici ben più del supposto pericolo conseguente al riarmo; pericolo che, nella mutata situazione politica odierna, appare ben più improbabile e remoto.
   Se è vero che le grandi lotte dell'umanità si attuano sempre per ragioni di predominio economico, e il ricorso alle armi non rappresenta che un mezzo per il raggiungimento di questo fine, così come un mezzo, meno costoso e cruento, può essere quello della penetrazione ideologica, bisogna arguire che il progettato potenziamento economico della Germania rappresenta proprio il fine che, attraverso il disarmo, s'era voluto evitare. La rinascita di una forte economia tedesca può rappresentare una soluzione a problemi politici esclusivamente americani, ma segnerebbe inesorabilmente il decadimento economico, e quindi politico, delle altre maggiori potenze europee.
   Posto di fronte a un tale dilemma, è ben comprensibile come il governo britannico non solo si sia immediatamente dichiarato fautore di quel riarmo tedesco che inizialmente avversava proprio nel timore delle sue future, possibili conseguenze nel campo politico, ma abbia esercitato una considerevole pressione diplomatica sul governo francese per vincere le persistenti perplessità.
   Sotto questa luce, l'opposizione tedesca al proprio riarmo diviene ben più comprensibile di quanto non lo sembri prestando ascolto alle professioni di agnostico neutralismo.
   Alla prossima eventuale conferenza quadripartita sul problema tedesco, questo atteggiamento germanico potrebbe giocare un ruolo predominante, e in tal caso non è da escludere il riacuirsi della crisi fra le potenze occidentali con aspetti ancor più drammatici di quanto non ne abbia determinato nei giorni scorsi il dissidio sulla questione coreana.

 

   A firma E. G. (iniziali di Erminio Govolo, che è anagramma di Oliviero Mogno), questo articolo è stato pubblicato da Il Corriere di Trieste di sabato 3 febbraio 1952.