Oliviero Mogno

MISCELLANEA
SCRITTI POLITICI

PLEBISCITO A TRIESTE?


 

 

 

 

   Ora che da alcuni mesi si sono concluse, nella Zona A del Territorio Libero di Trieste, le elezioni comunali, coincidenti con la seconda tornata elettorale delle amministrative italiane, riesce certo più agevole parlarne con obiettività e valutarne il significato politico la cui importanza, in questo Territorio ove non sono tuttora ammesse elezioni politiche vere e proprie, supera di gran lunga quella della scelta degli amministratori comunali. Non solo, ma la particolare situazione triestina, determinata dal perdurare della provvisorietà nel reggimento politico, ha conferito a queste elezioni un significato che va al di là dello stesso orientamento politico della popolazione, tanto da rispecchiare l'evoluzione della volontà popolare sul più scottante e urgente problema dell'appartenenza territoriale.
   Il Partito Socialista della Venezia Giulia, cioè la locale sezione del partito socialdemocratico italiano, si è presentato all'agone elettorale sventolando il vessillo del plebiscito. Questa magica parola che avrebbe dovuto accontentare un po' tutti e che comunque ha servito a evitare un urto troppo violento con la corrente indipendentista, ha costituito lo slogan sul quale questo partito ha impostato la sua propaganda la quale propugnava, appunto, l'idea di demandare alla libera decisione popolare il destino stesso del Territorio. Ebbene, i risultati delle avvenute elezioni amministrative offrono all'esame critico elementi di notevole interesse proprio perché lasciano intravedere quale potrebbe essere l'esito della invocata consultazione plebiscitaria.
   Nel Comune di Trieste erano in lizza 14 liste; nei Comuni minori della Zona A il numero dei partiti era naturalmente ridotto ma vi comparivano pure liste con sfumature cromatiche diverse da quelle cittadine. Nel complesso lo schieramento può essere rappresentato dai seguenti raggruppamenti: il gruppo degli apparentati con in testa la Democrazia Cristiana seguita dai partiti Socialista V. G., Repubblicano e Liberale; il gruppo del Partito Comunista del T. L. T. (cominformista) e del Partito Socialista Italiano (socialfusionista, che tuttavia a Trieste si è presentato con la lista propria); il gruppo dei movimenti indipendentisti comprendenti varie correnti italiane e slovene; il gruppo della destra italiana comprendente il Movimento Sociale Italiano, il Partito Nazionale Monarchico e il Monarchico-qualunquista. C'era pure un Movimento Autonomista Giuliano che, per l'assoluto insuccesso ottenuto, sembra del tutto trascurabile. Nel Comune di Trieste, al gruppo dei partiti apparentati è andato il 47% dei suffragi, al gruppo socialcomunista il 18%, al gruppo indipendentista il 20%, al gruppo missino-monarchico-qualunquista il 14% (cifre arrotondate all'unità).
   Questo per dare un'indicazione sommaria dei risultati politici delle elezioni. Per quanto riguarda invece l'orientamento dell'elettorato sul problema nazionale, è opportuno considerare i risultati secondo raggruppamenti diversi.
   I partiti che reclamano senz'altro la riannessione di Trieste all'Italia sono: la Democrazia Cristiana, i partiti Repubblicano, Liberale, Autonomista Giuliano e il gruppo dei partiti di destra, con un totale del 55% dei suffragi. I partiti o movimenti che si sono chiaramente pronunciati per il mantenimento, anzi per l'effettiva costituzione del Territorio Libero di Trieste sono: il Partito Comunista e il gruppo dei movimenti indipendentisti, con un totale del 38% dei suffragi. I partiti che su questo problema non hanno assunto una posizione intransigente sono: il Partito Socialista della Venezia Giulia che, come si è detto, preferisce rimettere la decisione a un futuro plebiscito, e il Partito Socialista Italiano che, pur lamentando la mancata applicazione delle clausole relative al T.L.T. del trattato di pace italiano, si dichiara fautore di una «soluzione italiana» non meglio specificata.
   Quest'ultimo gruppo ha totalizzato complessivamente il 7% dei suffragi.
   Questi i dati relativi al solo Comune di Trieste. I risultati complessivi dell'intera Zona A sono più favorevoli alla corrente indipendentista che raggiunge il 40,6% dei suffragi.
   Da questo sguardo superficiale si potrebbe dunque trarre l'impressione che la corrente indipendentista, pur numericamente cospicua, sia in minoranza e che quindi l'esito di un eventuale plebiscito le sarebbe senz'altro sfavorevole. Ma in realtà le cose non sono così semplici e per rendersene ragione è opportuno considerare tre questioni distinte.
   Anzitutto a un eventuale plebiscito sarebbero chiamati a votare i cittadini che hanno diritto alla cittadinanza del Territorio Libero di Trieste secondo le disposizioni del Trattato di Pace, vale a dire quelli che in questo Territorio erano iscritti fra la popolazione avente residenza stabile alla data dell'entrata in guerra dell'Italia e cioè al giugno 1940. Alle recenti elezioni hanno, per contro, potuto partecipare tutti coloro che avevano ottenuto tale residenza entro il 1950. Resta quindi a vedere quanti siano gli elettori delle amministrative che non godrebbero del diritto di voto in caso di consultazione plebiscitaria e quale sia da presumere il loro orientamento. È ben noto che dal 1940 al 1950 l'incremento della popolazione triestina è stato notevolissimo soprattutto per l'afflusso degli esuli dalmati e istriani che qui hanno trovato accoglimento e, in molti casi, soddisfacente sistemazione. Orbene, tutti questi nuovi arrivati paventano una soluzione del T.L.T. conforme al trattato di pace appunto perché in tale evenienza essi verrebbero automaticamente considerati apolidi e potrebbero essere costretti a nuovo esodo. Si può quindi affermare con certezza che tutti i nuovi venuti, a eccezione di una minoranza proveniente dalla Zona B, hanno recentemente dato il loro voto a sostegno delle liste nazionali italiane. Quanti sono? Si presume trattarsi di circa 14.000 elettori dei quali almeno 10.000 avrebbero dato alle liste nazionali un sostegno che verrebbe a mancare in caso di plebiscito. E poiché i voti validi alle avvenute elezioni nella Zona A sono stati complessivamente 193.000, se ne deduce che la sottrazione dei supposti 10.000 voti alla corrente nazionale avrebbe determinato un aumento percentuale dei voti alla corrente indipendentista superiore al 2%, sicché questa avrebbe ottenuto, anziché il 40,6, il 43% dei suffragi.
   Vi è poi da considerare un'altra questione di capitale importanza e cioè che, in caso di plebiscito, la consultazione verrebbe estesa a tutto il T.L.T. e quindi anche all'elettorato della Zona B il quale sarebbe presumibilmente compatto nel chiedere il ricongiungimento alla Zona A con la quale deve e vuole essere economicamente unito. Una tale ricongiunzione, tuttavia, non sarebbe probabilmente preferita; dalla grande maggioranza degli abitanti, nell'ambito di una nuova provincia italiana perché in siffatte condizioni, secondo l'opinione prevalente, la Zona B potrebbe decadere, come attualmente decade nell'ambito di una provincia jugoslava. E oltre a questi motivi economici, che spingerebbero la Zona B a ricercare le proprie fortune in seno a un Territorio Libero di Trieste destinato a più sicura prosperità, altri ve ne sono d'ordine ideale per cui la Zona B, a prescindere da una minoranza irredentista, non accoglierebbe l'idea di una riannessione all'Italia, il cui ricordo s'identifica purtroppo con quello dell'angheria fascista, con lo stesso entusiasmo col quale anela a Trieste. Questa Zona, che comprende i Comuni di Capodistria, Pirano e Buie, conta circa 72.000 abitanti di cui, approssimativamente, 50.000 elettori, e di questi, per quanto è possibile prevedere, almeno 40.000 voterebbero in favore del ricongiungimento alla Zona A secondo quanto disposto nel trattato di pace. Tutto ciò porterebbe al seguente spostamento di suffragi: al gruppo indipendentista il 51%; al gruppo nazionale e ai partiti socialisti, congiuntamente, il 49% .
   Ma vi è una terza questione da tener presente: quella della propaganda elettorale. Chi non ha assistito al modo in cui essa è stata impostata, agli avvenimenti che l'hanno preceduta e al clima in cui s'è svolta, non può farsi un'idea precisa del forte handicap che ha ostacolato una più decisa affermazione della corrente indipendentista. È risaputo che a Trieste i fili della vita economica sono tenuti da gruppi monopolistici legati alle più accese correnti nazionalistiche italiane e che questi gruppi si servono del loro potere per esercitare un'incessante pressione ricattatoria sul terreno politico, e a tal proposito basti ricordare quanto è accaduto al prof. Cusin che, per aver pubblicamente espresso tendenze difformi dal dogmatismo conformista, è stato estromesso dall'ateneo triestino. Nell'atmosfera di maggior libertà, assicurata in caso di plebiscito, dovremmo dunque assistere a non pochi dirottamenti, sicché tutto lascerebbe prevedere un successo della corrente indipendentista, e in particolare del Fronte per l'Indipendenza che già quest'anno, nonostante tutte le remore, ha esattamente raddoppiato, rispetto alle amministrative del 1949, il numero dei voti riscossi.
   Sembra dunque che un'eventuale consultazione plebiscitaria non costituirebbe il mezzo più idoneo a risolvere il problema triestino secondo le aspirazioni delle correnti irredentiste italiane.
   Ma non è da credere che in ciò consista il principale ostacolo alla concessione del diritto di autodecisione. È da credere piuttosto che alla effettiva costituzione del T.L.T., secondo i termini del trattato di pace, si oppongano forze più grandi e interessi più determinanti di quelli, più appariscenti, che generano i quotidiani dibattiti. Da un esame obiettivo e oculato della situazione triestina nel dopoguerra, risulta che la più forte e risoluta opposizione alla costituzione del T.L.T. è venuta dall'Inghilterra la quale, per ovvii motivi strategici, non vuole assoggettarsi ad abbandonare la base navale di Trieste. È stato infatti il generale Alexander a occupare militarmente la città nel giugno del '45 dopo aver costretto l'esercito jugoslavo ad arretrare; è stata, subito poi, la politica del Governo Militare Alleato, dettata dal Foreign Office, ad alimentare, sotto l'apparenza di una rigida neutralità, il locale dissidio tra gli opposti nazionalismi; è stato l'ostruzionismo del governo britannico a render sterili le lunghe trattative per la nomina del Governatore; è stato per iniziativa del ministro degli esteri inglese che si è scongiurato il «pericolo» di una accettazione, da parte dell'opinione pubblica italiana, del trattato di pace mediante la famosa dichiarazione tripartita del 20 marzo '48; è stato infine il governo britannico a stabilire i termini del subdolo accordo londinese del maggio scorso, secondo il quale l'Italia accetta per il momento (un momento che nessuno vede quando possa terminare) la occupazione jugoslava della Zona B, ottenendone in compenso un limitatissimo condominio amministrativo sulla Zona A, salvo naturalmente l'indefettibile diritto anglo-americano di mantenere a Trieste la propria base militare.
   In fondo, il problema di Trieste presenta evidenti analogie coi problemi relativi a tutti gli altri punti dolenti che suscitano le più giustificate apprensioni e costituiscono il più grave impedimento a una vera e durevole distensione nei rapporti internazionali. Questi punti dolenti, che sono la Corea, la Germania, l'Austria e Trieste, appaiono tutti collegati, oltreché dall'unità del problema di cui essi non rappresentano che i diversi aspetti, anche dalla genesi delle loro particolari situazioni e dalla interdipendenza delle possibili vie risolutive. All'iniziale attivismo orientale, nel complesso giuoco della rivalità egemonica dei due blocchi, si è opposto efficacemente un attivismo occidentale che ha ristabilito un equilibrio suscettibile dei più favorevoli, pacifici sviluppi. Ma il successo ottenebra le menti e sembra che ora si stia ricadendo nel consueto errore di non riconoscere che la bontà del metodo si esaurisce con l'ottenimento del fine per il quale è stato adottato, e nel dimenticare che, come la guerra, anche la pace, e soprattutto la pace, richiede lunga e paziente preparazione. La via che si sta attualmente seguendo può esser stata opportuna, ma non è certo quella che conduce alla pace, né a quella internazionale né a quella interna, ed è chiaro che una troppo prolungata insistenza sull'attuale direzione potrebbe determinare situazioni non più rimediabili.
   Speriamo in un tempestivo ravvedimento. Mai come oggi, e forse mai più come oggi, la situazione è favorevole a compiere i primi passi verso una generale pacificazione; e il primo passo, il più facile ma non per questo il meno importante, potrebbe essere quello di risolvere in piena legalità il problema triestino. Sarebbe così rimosso il principale ostacolo alla conclusione del Trattato di Stato austriaco, giacché la Russia sembra decisa a non abbandonare le proprie posizioni militari in Austria finché gli Anglo-americani non abbandonino le loro a Trieste, e si creerebbe con ciò l'atmosfera più adatta per procedere gradualmente a dissipare tutte le minacciose nubi dell'orizzonte politico.
   Una Trieste libera dagli impedimenti che le precludono il passo alla sua naturale funzione di grande porto internazionale, una Trieste da mille indissolubili legami sempre unita all'Italia nell'ambito di quella comunità europea di cui ella vuol essere simbolo ed esempio, rappresenterebbe forse il primo vincolo materiale e ideale di una futura unione, pacifica e concorde, di due popoli e di due mondi.

   A firma ERGO, questo articolo è stato pubblicato da Occidente, a. VIII, n. 3-4, maggio-agosto 1952, pagg. 262-266. Il Corriere di Trieste di domenica 19 ottobre 1952 lo ha ripreso facendolo precedere dalla seguente nota introduttiva:
«In relazione all'iniziativa per un plebiscito nel TLT, che doveva essere presa nel corso del Congresso dell'Internazionale Socialista di Milano, e ormai praticamente naufragata per il fatto che alcune delegazioni dell'Europa Occidentale vi si sono opposte considerandola politicamente sterile e inopportuna, pubblichiamo un'analisi sul problema triestino, a firma Ergo, comparsa nella rivista bimestrale di studi politici Occidente, che si pubblica a Torino, diretta da Ernesto Marchi e del cui Comitato di Redazione fanno parte, fra altri, Riccardo Bauer e Norberto Bobbio. Lo studio intitolato appunto "Plebiscito a Trieste?" a differenza di tanti scritti tendenziosi su Trieste che vedono la luce sulla stampa italiana, è rigorosamente e documentatamente obiettivo e illustra con pregevole acume politico la delicata funzione che potrebbe svolgere il Territorio Libero di Trieste nel quadro di una sana politica europea. Lo raccomandiamo perciò all'attenzione dei nostri lettori».