Oliviero Mogno
MISCELLANEA
SCRITTI POLITICI
LA NUOVA VIA
È interessante osservare come la recente iniziativa sovietica, intesa a restituire la piena indipendenza all'Austria a condizione della sua permanente neutralità, sia stata accettata dall'Occidente, dopo dieci anni di sterili dibattiti, con molta frettolosa precipitazione e sia stata, subito poi, accolta da commenti tali da lasciar chiaramente intendere quale mutamento di reazioni essa abbia determinato tra i Paesi Atlantici nel volger di brevissimi giorni. Mutamento tanto notevole da indurre alla plausibile supposizione che solo a trattato firmato se ne siano scorti appieno i lati negativi e che questi, nel giudizio dei più qualificati centri politici occidentali, comincino ora a preoccupare non meno di quanto preoccupasse la pur precaria e assurda situazione pristina.
L'osservazione è interessante perché in essa sembra di scorgere un'ulteriore conferma del fatto, per altri versi già manifesto, che fino a questo momento non siano ancora state tracciate nemmeno le grandi linee del piano regolatore della politica occidentale, sicché il procedere degli avvenimenti politici segue tuttora l'andamento capriccioso dei fenomeni casuali. E ciò, bene inteso, perché anche da parte sovietica, se pure in minor misura, ci si è mossi finora — a parte le talmudiche, conclamate finalità marxiane, del tutto irreali — nell'àmbito di un astuto sì ma empirico cerchio possibilistico, cosicché la lotta politica, orba delle proprie finalità concrete, si identifica sempre più con il giuoco subdolo e sottile della diplomazia nel quale si compie e si esaurisce, e assume l'aspetto e la sostanza di una guerra guerreggiata tra eserciti guidati da tattici ignari delle mete strategiche nelle quali la lotta trova il suo movente causale.
Ma, d'altra parte, bisogna dar atto ai governi delle maggiori potenze antagoniste di essersi finalmente resi conto di questa carenza strategica, tanto da decidere la riunione dei loro capi attorno a un tavolo non già per una generica presa di contatto o per la stipulazione di accordi secondo le norme classiche della tradizione politica, ma per discutere invece, con atto inconsueto e ardito, proprio i cardini fondamentali di un comune piano strategico concordato, e cioè per compiere l'estremo tentativo di uscire da un punto morto che da troppo tempo opprime e mortifica la vita politica ed economica dell'intera umanità e che, se ancora protratto, potrebbe condurre alle più pericolose conseguenze.
In vista di tale incontro, quello che più preme è di non ripetere, nell'inevitabile piccola lotta fra i quattro «grandi», gli stessi errori compiuti finora nella grande lotta fra i piccoli diplomatici. Che ognuno, almeno stavolta, vada dunque al convegno con una vera preparazione e cioè con una visione precisa di ciò che realisticamente può volere e proporre nel generale interesse.
Un avvio serio alla preparazione di questa conferenza potrebbe consistere nel chiedersi preliminarmente se sia possibile, o meno, conciliare la manifesta e comprensibile aspirazione sovietica a trincerarsi dietro una fascia neutrale con l'imprescindibile esigenza occidentale di non indebolire o fratturare il proprio schieramento difensivo e di non acconsentire alla creazione di un pericoloso vuoto militare nel cuore dell'Europa.
A questa domanda, la risposta potrebbe essere affermativa se fosse possibile convenire sul significato pratico della reclamata neutralità, poiché non v'è dubbio che ove ai Paesi neutrali fosse concesso un armamento bilanciato e integrato, nessuna eccezione avrebbe motivo di sollevare l'Occidente non si dice alla costituzione, ma all'estensione, da una parte e dall'altra, del raggruppamento dei neutrali fino a farne un fortissimo blocco comprendente tutti gli Stati dell'Europa ciscarpatica. Tale coalizione, infatti, sarebbe tanto forte da poter provvedere da sé alla difesa della propria neutralità di fronte alle grandi forze sovietiche e statunitensi, e costituirebbe il più saldo e valido baluardo contro qualsiasi tentativo di sopraffazione.
Resta a vedere ancora se una siffatta Europa, integra e integrata, non possa essa stessa rappresentare una potenziale minaccia, e su questo punto bisogna dire che un esame assolutamente obiettivo del problema ammette questa eventualità storica soltanto nell'ipotesi che l'integrazione stessa sia difettosa o parziale, ma la respinge nettamente nel caso contrario. L'Europa ciscarpatica non è infatti un'entità soltanto geografica, ma anche e soprattutto, proprio per l'influenza della geografia nella storia, una effettiva e vivente unione economica che si può sì temporaneamente scindere con la forza, ma che non si potrà mai separare permanentemente senza esercitare una continua, inammissibile violenza sui naturali vincoli della sua organica unità, e pertanto la più temibile minaccia alla pace di domani potrebbe molto probabilmente scaturire proprio dal conflitto tra la volontà di alcuni uomini e la più forte e incoercibile volontà della storia, mentre invece l'unione degli Stati europei, attorno alla propria organizzazione difensiva, rappresenterebbe veramente un fattore di equilibrio e quindi di stabilità e di pace. E tale unione potrebbe tranquillamente rinunciare al Patto Atlantico, tanto più che qualsiasi tentativo di aggressione diretto contro la sua integrità non potrebbe non suscitare spontaneamente una più vasta e imponente coalizione difensiva.
Insomma, una considerazione obiettiva della situazione attuale porta a concludere che qualsiasi tentativo di coesistenza fra le due maggiori potenze militari diverrebbe vano, o per lo meno malsicuro ed effimero, se si pensasse di raggiungere questo fine sulle spoglie europee. La coesistenza, anzi la convivenza pacifica, operosa e feconda, ha possibilità e ragione di esistere solo nel triplice accordo sovietico-statunitense-europeo, giacché ognuna di queste Potenze non sarebbe mai, da sola, abbastanza forte per sfidare le altre due, e nessuna potrebbe mai tollerare la sopraffazione di una delle altre proprio per non trovarsi poi nella condizione di dover, tosto o tardi, fatalmente misurarsi con la superstite per la definitiva supremazia.
Del resto, la conferma di questa tesi esce proprio dalla recente esperienza storica la quale ha dimostrato come il tentativo germanico di avanzare verso oriente abbia inevitabilmente determinato la solidale opposizione britannica e americana, così come la più recente avanzata della dominazione sovietica verso occidente abbia provocato, da parte delle stesse Potenze, un'opposizione altrettanto intransigente, anche se, per fortuna, finora incruenta. La grande lezione della storia ha insegnato proprio questo: che assurda non era l'integrità europea ma, all'opposto, era assurdo il suo frazionamento e la conseguente illimitata autonomia politica dei suoi componenti nazionali; e che assurdo si è dimostrato il suo attuale stato di frattura, anzi, più ancora che assurdo, stolto e per tutti pericoloso.
Speriamo quindi che questo problema tanto importante venga fra non molto affrontato realisticamente perché è chiaro che, perdurando l'attuale situazione nell'Europa orientale, l'altra parte dell'Europa non sarà mai disposta a rinunciare all'alleanza statunitense pertanto non sarebbe mai possibile comporre una vera forza indipendente ed equilibratrice atta, oltre tutto, a esercitare una influenza positiva anche verso la soluzione dei complessi problemi estremo-orientali, ma si avrebbe, per contro, la cristallizzazione dell'attuale pericoloso e minaccioso contatto fra i due opposti schieramenti.
La soluzione del problema tedesco desiderata dai sovietici, e cioè la riunificazione e neutralizzazione della Germania, sarebbe indubbiamente, in linea di principio, corretta, ma è tuttavia troppo limitata e parziale per essere praticamente accettata senza infirmare la bontà stessa del principio alla quale si richiama e che noi propugnamo e auspichiamo: il problema non può evidentemente essere affrontato
e risolto che nella sua interezza e cioè con la riunificazione e neutralizzazione dell'Europa. Ogni altra via, come quella già da qualche tempo additata all'URSS e riproposta nel comunicato sui recenti accordi belgradesi, ben difficilmente potrà costituire la base di intese proficue, e comunque, anche se, per mera ipotesi, venisse accolta, potrebbe solo apparentemente attenuare le ragioni di attrito internazionale, ma lascerebbe sempre aperto, pericolosamente aperto, l'assillante problema fondamentale.
Una buona soluzione, anzi l'unica vera soluzione, dev'essere apportatrice di bene per tutti, ed è forse nel riconoscimento di questa elementare verità che si trova la spiegazione del prossimo convegno dei quattro. A Washington si è indubbiamente meditato a lungo su ciò, e gli uomini nuovi del Cremlino, cui non fa certo difetto la più dinamica e spregiudicata fertilità di iniziativa, non dovrebbero trovare nella tradizionale, sorda intransigenza del passato o in più recenti «avances» esplorative l'impedimento o la remora per muovere audacemente i passi verso un migliore avvenire.
Dattiloscritto senza indicazione della data, ma evidentemente attribuibile a momento compreso tra la sottoscrizione del trattato che ha concesso all'Austria l'indipendenza (15 maggio 1955) e la conferenza al vertice delle quattro grandi potenze (18 luglio 1955). Non risulta se sia stato oggetto di pubblicazione.