Oliviero Mogno

MISCELLANEA
UNA STORIA VERA

LA FUGA DI FULL








   Chissà, forse è proprio un invincibile senso di nomadismo che mi fa rifuggire dalla più redditizia ma meno varia caccia in riserva. Alla domenica, dopo una settimana di lavoro in città, sempre allo stesso tavolo, dopo tanti identici percorsi tra casa e ufficio, dopo aver visto a ripetizione sempre le stesse persone e le stesse cose, sento irrefrenabile il bisogno di rompere la monotonia di tutte le consuetudini e di partire, arma in spalla, alla ventura.
   Ma per portarmi dalla città al primo paese ove sono le zone di caccia libera debbo fare non pochi chilometri in treno, e qui mi incontro spesso col solito gruppo di quattro o cinque cacciatori che sono miei compagni solo di viaggio giacché a caccia preferisco andar solo.
   Non che costoro siano antipatici, anzi sono gioviali e spiritosi, tanto che alla sera, in treno, vado non di rado a cercarli per ascoltare le loro divertenti trovate, ma a caccia assieme non potrei andare per... divergenze di vedute nell'interpretazione delle regole venatorie. Per parlar chiaro, essi, anche se muniti di regolare licenza, almeno così suppongo, sono in realtà dei veri e propri bracconieri che non si fanno scrupolo di cacciare fuori stagione e di sconfinare nelle riserve. Nereo, il più spavaldo, al quale chiesi una volta perché mai portasse sempre seco alcune cartucce a pallettoni in zone dove non si trovano selvatici di grossa taglia, non si peritò di confessarmi, senza ombra di celia, che quelle cartucce potevano dimostrarsi utilissime nel caso non infrequente di contestazioni con i guardiacaccia. Basta, la pensino come vogliono, io preferisco lasciarli soli nelle loro imprese e andarmene per conto mio.
   Domenica scorsa il tempo prometteva burrasca sicché, sceso dal treno, mi portai verso il fiume in cerca di mazori scampati alle furie del litorale. Ma poi l'aria voltò a scirocco e dopo alcune ventate sopravvenne una calma grigia e piovigginosa che frustrò le mie speranze. Allora piegai verso la boscaglia e là dovetti accontentarmi di un gineprone perché la pioggia s'era fatta insistente, tanto da indurmi a un anticipato ritorno. Anzi, per guadagnare tempo ed evitare il terreno fradicio, mi diressi subito verso l'asfaltata provinciale.
   È seccante camminare su queste strade. Per evitare gli automezzi che sfrecciano veloci devi sempre rasentare il ciglio e a ogni cancello di casolare odi il latrare rabbioso dei cagnacci di guardia. Io pensai che quegli sfoghi quasi feroci sono, di solito, un segno di scarsa intelligenza canina e che una prova convincente della superiorità mentale del cane da caccia sta proprio nel fatto ch'esso non abbaia mai.
   Stavo appunto pensando a ciò quando un magnifico esemplare di pointer, sbucato chissà di dove, mi si fa incontro abbaiando minaccioso con una aggressività che non avevo conosciuto in cani della sua razza. Rimasi letteralmente di stucco e mi fermai a guardarlo non so se più meravigliato o intimorito. Egli pure si fermò a breve distanza, mi osservò ringhiando e dopo un attimo di esitazione spiccò verso di me, impetuosamente, ancora un balzo.
   In tali circostanze, a un cane qualsiasi avrei battuto sul muso il calcio del fucile, ma a un pointer no. Quando fu a mezzo metro gridai con tono imperativo: alt! Si arrestò di colpo e rimase immobile e silenzioso a fissarmi come se fosse in ferma. Dopo un attimo io battei la mano al ginocchio con gesto invitante. Egli dimenò leggermente il dorso flessuoso e il monconcino di coda barbaramente tagliata. Vieni qua, dissi con benevolenza. Mi si accostò con quell'atteggiamento grato e affettuoso che il cane assume verso il proprio padrone. Feci per accarezzargli la testa, ma egli la ritrasse intimorito chiudendo gli occhi. Evidentemente era abituato a buscarle. Gli presi allora con decisione il capo tra le mani, lo accarezzai, gli mormorai parole affettuose, ed egli mi guardò con quello sguardo di così intensa espressività che è proprio soltanto di certi cani, o di persone molto sensibili e intelligenti.
   Full, gli dissi imponendogli il nome di un altro pointer bellissimo che mi fu regalato un anno fa da amici in partenza per l'estero, ma che dopo un mese regalai ad altri perché soffriva troppo nelle angustie del mio minuscolo appartamento cittadino. Full, sei caro e simpatico come l'altro, hai le macchie marrone anziché nere come lui ma non sei meno bello.
   Lo coccolai ancora un poco per dissipare del tutto il velo della diffidenza che l'aveva fatto abbaiare (ma era stata proprio diffidenza?), poi lo incitai con la parola e col gesto ad andarsene, a tornare a casa, dal suo padrone. Malinconicamente obbedì e si allontanò tenendo volto il capo per continuare a guardarmi.
   Intanto la pioggia, dopo una breve pausa, aveva ripreso a crepitare sull'asfalto e io affrettai il passo serrando bene al collo la mantellina di polietilene. Ma dopo un centinaio di metri mi avvidi che Full mi seguiva a distanza con passi timorosi e discreti. Feci finta di non avvedermene e proseguii senza voltarmi, ma lui era sempre dietro e così continuò, sotto la pioggia che via via diveniva più intensa. fino alla stazione ferroviaria.
   Alla stazione entrai al bar concedendo il ricovero alla povera bestia tutta zuppa. Raccontai al barista la strana vicenda e gli chiesi se conoscesse il cane. No, è la prima volta che lo vedo, ma se l'ha incontrato a un paio di chilometri dal paese vuol dire che è di qualche contadino che probabilmente lo usa come cane da pagliaio. Poveretto, risposi, si vede che vorrebbe riguadagnare il rango che gli compete e per raggiungere questo ideale è disposto a qualunque sacrificio. Il barista scoppiò in una risata. Questa sì che è bella, ma forse ha soltanto fame. Presi dal banco una pagnottella e gliela gettai. Full l'afferrò al volo, uscì e la portò in un'aiuola, fece un buco per terra, vi depose la pagnottella e ricompose il terreno con tanta cura che nessuno avrebbe potuto scorgere le tracce del seppellimento. Poi, trovando la porta chiusa, si accucciò ad aspettare sotto la pensilina.
   Io intanto uscii dalla parte dei binari per lavare alla fontana gli stivaloni di gomma pesanti per la grande quantità di fango, e allora Full mi scorse dall'altro lato della staccionata. Per raggiungermi tentò di aggirare l'ostacolo ma da un lato trovò la via sbarrata dal recinto dell'orto, e allora corse dal lato opposto, fino allo scalo merci dove i cancelli erano chiusi. Mi ritornò di fronte guaendo e tentando disperatamente di passare tra i montanti di cemento, ma a stento, dopo molti sforzi, riuscì a infilare nel vano solo la testa che rimase così imprigionata. La sua ancora recente esperienza di cucciolo gli suggerì allora di inclinare la testa da un lato perché nei primi mesi di vita il cranio è più largo che alto, ma ormai dovette avvedersi che il tentativo era inutile e alla fine riuscì a liberarsi solo a costo di sforzi e sofferenze molto evidenti.
   Puliti gli stivali, tornai al bar a ristorarmi con un punch bollente, poi dissi al barista: —Mancano ancora due ore alla partenza del treno, meglio di tutto è andare al cinema dell'Enal qui di fronte, intanto il cane si stancherà di aspettare e prenderà la via del ritorno.
   Attraversai il piazzale tra le evoluzioni gioiose di Full e mi avvicinai all'ingresso del cinema. Attesi che il cane, girando dietro al muretto della cancellata non mi vedesse, ed entrai. Vidi un film abbastanza buono con Frank Sinatra e dopo quasi due ore uscendo in fretta per prendere il treno fui sorpreso di trovare fuori dalla porta, accovacciato e tremante sotto la pioggia, Full sempre in attesa. Non potei trattenermi dal ricambiare le sue effusioni affettuose ma lo incitai nuovamente ad andarsene. Niente, sembrava proprio deciso a tutto pur di non lasciarmi.
   Non sapevo veramente cosa fare. Attraversai il piazzale e alla stazione incontrai il solito gruppo degli «amici» bracconieri ai quali raccontai in breve la storia. Ma perché non lo tiene? Lo porti con sé, avrà sì e no un anno, può ancora addestrarlo, è una bestia magnifica.
   No, non mi è assolutamente possibile prima di tutto perché non è mio e, anche se non ha collare, deve pur avere un padrone, eppoi non potrei ugualmente: il mio primo Full era bello come questo e fui costretto a staccarmene.
   —Allora lo prendo io, interruppe Nereo, quello dei pallettoni, è un animale di valore, si vede subito, e mi può servire, in ogni caso è un affare. Me lo lascia prendere?
   Io colsi di sfuggita una strana luce negli occhi del cane e replicai infastidito: —Ma non è a me che deve chiederlo, non è mio. Io non lo prendo e non voglio entrare nella faccenda, lei faccia quello che crede, è affar suo.
   Intanto qualcuno interruppe gridando: ecco il treno. Tutti si mossero in fretta per raccogliere i sacchi e i fucili.
   —E il cane, dov'è il cane?, scattò Nereo.
   —Non so, era qui adesso. Guardai lungo la banchina, nel bar, nell'atrio, fuori nel piazzale dove si proietta lo scorcio del lungo stradone asfaltato. Sì, là in fondo che fuggiva era Full, cane ...gentiluomo.

 

Pubblicato dal Piccolo Sera. Le Ultime Notizie di lunedì 31 marzo 1958.