Oliviero Mogno
MISCELLANEA
LETTERE
IL CASO DEL VESCOVO DI PRATO
Trieste, il 10 marzo del 1958
A Sua Eminenza Mons. Montini
Arcivescovo di Milano
Eminenza,
Vorrà essere tanto accondiscendente da ascoltare la parola di un cittadino qualsiasi, modesto, sconosciuto, e per di più fuori della Sua e di qualunque altra Chiesa?
Ho seguito con attenzione, nei giorni scorsi, le cronache degli avvenimenti che hanno destato tanto scalpore, ho letto le pastorali dei vescovi, ho ascoltato con serena obiettività le opinioni di tanti, ma Le debbo confessare che non di rado ho provato un senso di profonda pena, talvolta di disgusto, tal'altra perfino di indignata ribellione.
Ma quando ho appreso le parole, veramente cristiane, da Lei pronunciate ieri al duomo milanese mi sono sentito pervaso da un senso di grande, profonda consolazione; ho sentito assopirsi e spegnersi quei sentimenti deprecabili che altri avevano suscitato; ho compreso che, forse, i dissidi possono ancora essere composti, nell'interesse di tutti.
Mi conceda di dire, La prego, che Lei è salito con l'animo e con l'intelletto a un livello che altri non hanno raggiunto e che solo in Lei ho riconosciuto la superiorità morale di chi può reggere le più grandi responsabilità.
Voglia gradire il mio ringraziamento e il mio ossequio.
Oliviero Mogno
Trieste, 12 novembre 1958
Monsignor Urbani,
Otto anni or sono, nel triste periodo della mia degenza sanatoriale, ricevetti, a Sondalo, una visita altrettanto inaspettata quanto gradita e memorabile: la sua. Inaspettata perché io sono fuori della chiesa e non ho mai avuto rapporti con religiosi; gradita perché nei lunghi anni dell'isolamento, ogni contatto col mondo esterno è come un sorso d'acqua per un assetato; memorabile perché nei brevi istanti del nostro incontro constatai un fatto strano: lei riusciva a leggere nei miei pensieri e io nei suoi, sicché ho serbato da allora l'impressione che, nonostante la distanza delle nostre posizioni sociali e la disparità, anzi, in certo senso, l'opposizione delle nostre posizioni mentali, si fosse istituita tra noi una corrente di reciproca comprensione e simpatia. Impressione presumibilmente illusoria giacché in quella stessa giornata lei visitò, con la stessa cortese benevolenza, oltre duemila degenti e nelle giornate precedenti e susseguenti chissà quanti altri sofferenti avranno ricevuto da lei parole di comprensione e di conforto; eppure suffragata dal ricordo del balenare del suo sguardo che subito corse dalle note di matematica, che ancora tenevo in mano, alle «lettere provinciali» di Pascal, che stavano tra una pila di libri sul piccolo ripiano, e dall'atteggiamento e dalla parola che non esprimevano rimprovero ma intelligenza e rispetto di ogni convinzione sincera e onesta. Ne rimasi toccato perché io credo che, in fondo, sia proprio questo atteggiamento dello spirito quello che più vale, che può costituire la base di qualsiasi ulteriore sviluppo e che sta alle radici, se non disgiunto dal sentimento di sacrificio e di amore, della stessa dottrina cristiana. Lei stesso può trarre dal mio ricordo di lei un'ulteriore prova della grande forza della bontà, così come in recenti e incresciosi avvenimenti avrà potuto osservare l'onda di avversione sollevata da chi, invece di limitarsi a condannare il peccato, ha voluto poco cristianamente insultare i peccatori.
Io spero, monsignore, che anche oggi non le dispiaccia la mia sincerità, quella stessa sincerità che, al di sopra di ogni convenzionale opportunità, mi spinge in questo momento a parteciparle il mio sentimento di soddisfazione per la sua elevazione al patriarcato della mia Venezia.
Voglia comunque, la prego, scusare il mio insopprimibile rifuggire da taluni precetti formali e credere nei sensi della mia gratitudine e della mia devozione.
Suo Oliviero Mogno