Oliviero Mogno

MISCELLANEA
LETTERE

ABORTO: LA CHIESA E L'ONTOGENESI




 



   Egregio direttore,
   La pertinace opposizione della Chiesa cattolica alla interruzione provocata della gravidanza trova spiegazione nella strenua e irrinunciabile difesa della verità rivelata che afferma la sacralità della vita umana e che, per ciò stesso, non può essere né misconosciuta né discussa. Quella che invece può, e in taluni casi deve, essere discussa è la cosiddetta teologia naturale, che dovrebbe essere fondata sulla ragione ma che talvolta, più che sulla ragione, ha trovato sostegno sui filosofemi più assurdi e paradossali. È infatti su questo infido terreno che la Chiesa commise in passato quei gravi errori che tanto danno le arrecarono, ed è su questo stesso terreno che, in tema di aborto, essa sembra ora nuovamente in procinto di scivolare, col pericolo di procurare nuovo danno alla propria autorità e al proprio prestigio.
   Pio XII, che nonostante le velenose insinuazioni dei suoi attuali detrattori è stato indubbiamente uno dei pontefici più illuminati e illuminanti, non poteva certo non essersi reso pienamente conto della straordinaria importanza delle sue stesse parole quando, parlando a un convegno di accademici, se ben ricordo nell'anno 1951, disse, per la prima volta nella storia dei papi, che la Chiesa avrebbe potuto benissimo non più respingere, ma anzi ammettere e riconoscere la teoria darwiniana dell'evoluzione specifica senza con ciò venir meno ai cardini fondamentali della propria dottrina: giacché, pur accettando la validità scientifica di tale teoria, restava pur sempre intatto e fermo l'inderogabile assunto della peculiarità dell'anima alla specie umana, la quale divenne tale precisamente in quel momento evolutivo della specie antropopiteca in cui ebbe da Dio il dono dell'anima. È stata questa un'ammissione che avrebbe dovuto essere maggiormente studiata e approfondita dai teologi, soprattutto per lo straordinario interesse delle sue inevitabili implicazioni sulla vexata quaestio della liceità morale dell'aborto procurato.
   Infatti, secondo il magistero della Chiesa, l'omicidio è peccato capitale perché l'essere umano appartiene all'unica specie animale che ha l'anima. L'uccisione di qualunque altro animale, se non compiuta per malvagità, non è peccato perché gli altri animali non hanno l'anima. A conferma di ciò dovrebbero bastare le parole di un'altissima autorità ecclesiastica che, per risollevare dall'afflizione coloro che temevano di commettere peccato uccidendo i buoi al macello, ebbe a dire che quegli strazianti muggiti di dolore sotto i colpi della mazza non dovevano impressionare più di quanto non faccia il fragoroso stormire delle fronde percosse dal vento,.
   L'intransigente avversione della gerarchia ecclesiastica e di una parte del laicato cattolico ai tentativi dei legislatori italiani di promulgare una legge liberalizzatrice dell'aborto si spiega dunque, come si diceva, con l'irrinunciabile difesa del comandamento divino: non uccidere. Non uccidere, cioè, l'uomo: perché la sacralità della sua vita fisica è data dalla presenza di quell'anima immortale che Dio gli ha dato e dalla quale solo Lui può temporaneamente disgiungerlo con la morte. Senonché, l'opinione teologica secondo la quale il nascituro inizia la propria identità umana all'atto stesso del concepimento, cioè a partire dall'istante in cui avviene l'unione dell'elemento germinativo maschile con l'ovulo, appare inficiata dal medesimo errore che gli agiologi meno provveduti commisero quando attribuirono un significato meramente letterale alla parabola adamitica e quando, fraintendendo il concetto di centralità della Terra, condannarono spietatamente i sostenitori del sistema copernicano. Ancor oggi, dunque, i teologi dovrebbero sottoporre le loro proposizioni a un più rigoroso esame critico e rendersi conto che quando Pio XII comprese che la teoria evoluzionistica era scientificamente inoppugnabile e si dichiarò disposto ad accettarla (ammettendo esplicitamente che solo al raggiungimento di un certo grado evolutivo della specie Dio le diede il dono soprannaturale dell'anima) non poteva certo ignorare che, nel grembo materno, il nascituro ripercorre tutta la strada evolutiva delle specie che filogeneticamente lo hanno preceduto e che quindi, se è vero che l'ontogenesi è la ricapitolazione della filogenesi, né l'uovo fecondato, né la morula, né la blastula, né la gastrula, né le successive forme evolutive dell'embrione, in maggiore o minor' misura caudato, possono avere l'anima. Perché è solo a quel punto delle fasi evolutive intrauterine corrispondente a quello filogenetico che segnò l'inizio della vita umana sulla Terra, punto che potrà forse essere compreso nella fase fetale propriamente detta ma non già in quella embrionale, che Dio, così come ha voluto ai primordi, ancor oggi vuole col dono dell'anima elevare il substrato biologico animale a essere umano. Il disegno legislativo italiano, che, considerando il possibile verificarsi di gravi circostanze avverse, affida alla gestante la responsabilità di poter decidere l'interruzione della gravidanza entro il termine di novanta giorni, con la piena disponibilità di ogni possibile presidio sanitario, sembra dunque ispirato a un profondo senso di umana pietà e non sembra in nessun modo in contrasto con i principi della dottrina cristiana.

ingegner Oliviero Mogno - Trieste

 

   Lettera al direttore di Tempo Medico. La pubblicazione della lettera seguita da una presa di posizione della rivista (n. 145, ottobre 1976, pagg. 3-6) offrì lo stimolo a un vivace dibattito epistolare cui parteciparono 22 lettori, tra i quali anche un teologo. Una vasta sintesi del dibattito è stata pubblicata qualche mese dopo da Tempo Medico (n. 148, gennaio 1977, pagg. 49-54) sotto il titolo «Aborto. 22 testimonianze intorno a un'ipotesi».