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Film di fantascienza a Trieste

 

Trieste: il primo festival della fantascienza*

I saggi sulla fantascienza, ormai non più tanto rari nemmeno in Italia, si aprono quasi tutti con l'affermazione che dare della Science Fiction una definizione completa ed esauriente è molto difficile se non impossibile, cui segue immancabilmente una definizione, effettivamente incompleta e non soddisfacente. La parzialità e l'incompletezza di queste definizioni dipendono dal fatto che esse, quando non sono addirittura normative, come quella di Bergier che, attribuendo un'esagerata importanza alla validità del presupposto scientifico, per essere conseguente è poi costretto ad escludere le opere di uno science fictioneer universalmente riconosciuto ed apprezzato come Bradbury, si risolvono in un elenco dei temi su cui si imperniano la maggior parte dei racconti di fantascienza. Oltre all'evidente difficoltà di essere completi in questa elencazione di contenuti è chiaro che non è possibile a questi saggisti chiudere nel loro elenco gli innumerevoli temi fantascientifici che non sono ancora stati sfruttati da alcuno scrittore, ma che cionondimeno vi entrerebbero di diritto. Succede insomma con la fantascienza quanto è successo con il cinema con le teorie dello specifico filmico; perché la fantascienza, come il cinema, è un evento vivo e in evoluzione che non può essere chiuso entro categorie fissate a priori. E nello stesso modo che è errato pretendere di definire la fantascienza entro schemi angusti che, per un verso o per l'altro, ne lasciano fuori i suoi scrittori migliori, non si può nemmeno darne una definizione talmente generica da farvi rientrare opere, che con essa non hanno nulla a che vedere, come l' «Utopia» di More, «La città del sole» di Campanella, il «Somnium» di Keplero, etc., come fanno per esempio i curatori della Mostra del libro e del periodico di fantascienza.

Ma se è quasi impossibile dare una definizione della Science Fiction come genere letterario –e di genere letterario comunque va ricordato che si può parlare non come di una categoria estetica, ma solo nell'ambito di una problematica psicologica e sociologica– più proficuo sembra sia darne una spiegazione appunto nei soli termini in cui è precisabile, e specificamente facendo riferimento ai suoi lettori e alle esigenze che in essi soddisfa questo filone della letteratura popolare. La letteratura fantascientifica infatti viene messa in circolazione tra un pubblico di lettori fedeli da riviste specializzate che ospitano soltanto essa. Fantascienza quindi –e non è una tautologia– è tutto quanto viene pubblicato da determinate riviste che vivono grazie all'esistenza di un gruppo determinato di lettori che le leggono, condizionandone contenuti e caratteri, e che trovano in esse la soddisfazione a certe loro esigenze. Sembra quindi interessante scoprire quali siano i bisogni che vengono soddisfatti dalla lettura del racconto di Science Fiction.

In effetti una risposta soddisfacente può essere data solo da un'indagine psicologica motivazionale che, scavando sotto alle razionalizzazioni, evidenzi la vera natura di queste esigenze. Grosso modo, però, penso sia possibile esplorare questo terreno anche ingenuamente. Si può innanzitutto osservare come il gruppo dei lettori di fantascienza non sia omogeneo, ma sia distinguibile in almeno due sottogruppi, che leggono racconti con caratteri sostanzialmente diversi e che negli U.S.A., la patria e il maggior produttore della Science Fiction, fanno capo a periodici diversi. In Italia la distinzione è più difficile per l'esistenza di una grossa collana di fantascienza che attinge indifferentemente ai due generi e che è quindi probabile veda variare la composizione e il numero dei suoi lettori di fascicolo in fascicolo, benché anche da noi esistano un paio di riviste che hanno un carattere omogeneo e che sembrano avere un pubblico consumatore fisso.

La distinzione che si può fare è quella già nota tra fantascienza calda e fantascienza fredda. Alla prima appartengono tutti quei racconti che prendono lo spunto dalle possibilità offerte dalla Science Fiction per dar vita a personaggi dalle super-qualità e farli muovere in mezzo a grandi eventi (catastrofiche guerre galattiche, scontri con i più orribili mostri, etc.). È tutta una letteratura del più e del super, in cui ogni cosa assume proporzioni macroscopiche. La fantascienza fredda è quella che, viceversa, sviluppa in modo coerente determinati temi attuali collocando le storie nel futuro per avere la possibilità di accentuare determinati caratteri o tendenze della vita contemporanea, in genere con scopi chiaramente e dichiaratamente critici; appartiene a questo gruppo la cosiddetta fantascienza sociologica. A questo filone appartengono anche tutti quei racconti che sviluppano paradossi puramente logici, che nascono dalla negazione o dall'asserzione portata alle estreme conseguenze di qualche principio o ipotesi scientifica.

A quali esigenze sono riconducibili questi due grossi filoni? Ripeto che a questo quesito potrebbe essere data una risposta esauriente solo da una ricerca psicologica scientificamente condotta. Comunque sembra plausibile supporre che la fantascienza del primo tipo abbia la funzione tipica di tutta la letteratura d'evasione, ma che proprio per il fatto di avere sempre al suo centro un super-eroe che affronta e vince super-ostacoli e super-nemici, attraverso i processi psicologici della proiezione e dell'identificazione, dia a un certo tipo di lettore una più efficace soddisfazione alle sue ambizioni e ai suoi desideri di potenza frustrati da un'esistenza oggettivamente mediocre.

Esclusion fatta per i racconti sui paradossi logici che sono solo degli intelligenti divertissements, più interessante sarebbe indagare sui moventi che stanno alla base del consumo delle opere del secondo filone, e in particolare della fantascienza sociologica, che interessa un numero molto più limitato di lettori, qualitativamente però più esigenti e anche intellettualmente e culturalmente più qualificati. E può giovare a questo proposito osservare come l'edizione italiana della rivista americana Galaxy, che conta in Italia circa undicimila lettori e che pubblica racconti quasi esclusivamente del tipo che sto considerando ora, da un sondaggio fatto alcuni anni fa, risulta avere dei lettori costituiti per l'ottanta per cento da professionisti. Quali esigenze soddisfa la fantascienza sociologica che ci presenta in genere una società futura dominata dalla pubblicità subliminale o schiava dei consumi, come nei racconti di Frederik Pohl, o in cui la pace mondiale e l'equilibrio mentale deicittadini sono garantiti da istituzioni legalizzate, che invece di condannare l'omicidio, lo regolano, riconoscendo ad esso la funzione socialmente positiva di scaricare l'aggressività in maniera controllata, come nei racconti di Robert Sheckley? Kingsley Amis nel suo saggio «New Maps of Hell» (ed. it.: «Nuove mappe dell'inferno») sostiene che i lettori di questa Science Fiction sono uomini progressisti, politicamente impegnati. Se questo è vero –e non mi pare difficile crederlo– proprio per il fatto che si pone fuori della realtà per criticarla, la fantascienza sembrerebbe avere il ruolo di placare la componente nevrotica del progressista impegnato che, come il barone rampante di Calvino, per operare in favore della società, è costretto paradossalmente a viverne in qualche modo al di fuori. E resta inoltre il dubbio che questi racconti conseguano in definitiva un risultato sostanzialmente conservatore, come la barzelletta politica in periodo fascista, che si dice fosse favorita dal regime per la sua capacità di scaricare, senza pericolo per l'ordine costituito, l'aggressività degli scontenti tra cui circolava. L'avvicinamento non è gratuito come sembra perché il racconto di fantascienza ha spesso anche i caratteri della barzelletta: indica il problema esasperandone i caratteri più salienti, ma senza additarne alcuna soluzione (come in tutti i racconti di Pohl, che è considerato il big della fantascienza sociologica e l'unica eccezione a quanto mi consta è Wyndham in alcuni suoi racconti, come per esempio nell'esemplare «The wheel»), e spesso si chiude nella brevità e nella riduzione alla trovata, con finale a sorpresa (e valga come esempio il notissimo «Sentry» di Brown). Questa –naturalmente è solo una proposta di avviare gli studi in questa direzione e di cercare anche in questo senso il criterio per una più adeguata definizione della fantascienza. Una comprensione del problema in questo ordine di idee avrebbe anche ilvantaggio di dare una spiegazione esauriente del perché il cinema sinora si sia rivolto, e con ogni probabilità continuerà a rivolgersi, quasi esclusivamente alla Science Fiction più volgare e meno interessante, quella appunto calda: in quanto cioè essa soddisferebbe una esigenza profonda, radicata in molti uomini. Il cinema, dovendosi rivolgere a un pubblico indifferenziato e non selezionabile ed essendo condizionato da interessi economici che gli impongono la produzione di film che riscontrino un largo successo, non potrebbe orientarsi sulla realizzazione di opere che incontrerebbero il favore e la comprensione solo di un ristretto numero di persone.

Tanto più che la fantascienza in generale, ma soprattutto quella più intelligente, di contenuto sociologico, ha elaborato tutto un complesso sistema di simboli e di convenzioni (come appunto anche, per esempio, i partiti di estrema sinistra), comprensibili agevolmente solo da quel ristretto numero di iniziati che sono i suoi lettori.

Quello sociologico, comunque, rimane certo il filone più interessante della Science Fiction, e, probabilmente con l'occhio rivolto ad esso, Gastone Schiavotto, l'organizzatore del 1º festival internazionale del film di fantascienza, ha operato la selezione dei film da ammettere a concorso. In realtà non credo di andare lontano dal vero dicendo che una selezione vera e propria non c'è stata e che dei film mandati dai produttori uno solo è stato scartato, il giapponese Gorath, perché considerato non fantascientifico, o comunque di una fantascienza scadente, in quanto svolge una comune storia di mostri. A questo proposito va anzi osservato come, in quanto primo festival del film di fantascienza, questo avrebbe dovuto dare un panorama quanto più completo possibile della produzione cinematografica di questo genere: esso quindi ritengo avrebbe dovuto ospitare anche il film giapponese, tanto più che sono state accettate opere anche non fantascientifiche e che il livello medio dei film presentati è piuttosto basso; e soprattutto sarebbe stato opportuno non limitare il festival ai soli film inediti in Italia. Sono mancate al festival opere che possano decisamente essere classificate di fantascienza sociologica; vi sono comunque alcuni film in cui questo ordine di interessi è presente, seppure marginalmente.

Così nel film cecoslovacco Muz z prvniho stoleti (t. l. L'uomo del primo secolo) di Oldrich Lipsky, che –in verità piuttosto ambiguo– benché sul piano della satira, in una qualche misura si propone anche di considerare gli aspetti di carattere morale e sociale che un avanzatissimo progresso tecnologico comporta. Nel tono della commedia –e della commedia il film ha anche l'impianto teatrale piuttosto pesante– si svolge la vicenda di un operaio del XXI secolo che per errore parte con un'astronave spaziale andando ad approdare sulla terra del XXV secolo. Con un ottimo avvio che ricorda il miglior René Clair, il film scade rapidamente alla noia della lezione morale che non può certo essere riscattata soltanto dall'interpretazione relativamente buona di Milos Kopecky, che però richiama troppo apertamente Chaplin, in una meccanica ripetizione di certe sue movenze. Ambiguo si è detto questo film per la frattura che c'è tra l'immagine visiva, in cui il protagonista è seguito con viva simpatia nei suoi contatti con il mondo tecnologicamente progredito e altamente meccanizzato del XXV secolo, nel quale ormai poco posto rimane per la vita del sentimento, e il dialogo, in cui si rivela la meschinità e l'egoismo di quest'uomo del XXI secolo in contrapposizione alla perfetta civiltà morale e spirituale, oltre che tecnologica e scientifica, del mondo futuro.

Muz z prvniho stoleti Da Muz z prvniho stoleti di Oldrich Lipsky (Cecoslovacchia).

Nei modi della satira, ma con tocco assai lieve, e bisognerebbe dire superficiale, è impostato anche il disegno animato polacco L'amateur de cybernetique di Stefan Szwakopf, che da un guasto verificatosi nel complesso sistema cibernetico da cui è regolata la vita di una casa trae il pretesto per una divertente serie di gag spiritose ed esplosive, ma sempre trattenute nei limiti di un buon gusto che impedisce scadano al livello di certi cartoon americani, peraltro tecnicamente forse più curati.

Un divertissement, perciò, e non un'opera impegnata sul piano morale, quale è invece il cecoslovacco Kybernetica babička (t. l. La nonna cibernetica) di Jiří Trnka, che con i suoi delicatissimi pupazzi animati racconta la storia di una bimba che lascia la terra dove vive con la vecchia nonna per andare a trovare i genitori che abitavano su un altro pianeta, dove ella sarà affidata alle cure di una nonna cibernetica. Nulla da aggiungere sulle già note qualità del bravo regista cecoslovacco, se non ancora l'ammirazione per gli effetti particolarmente suggestivi che riesce a ottenere nel conferire al volto immobile dei suoi pupazzi valori espressivi anche molto diversi e compositi, soprattutto con un uso sapiente dell'illuminazione e del colore. Una vivace vis espressiva egli riesce perfino a dare alla nonna cibernetica, che non è che una poltrona montata su rotelle da cui esce una fredda voce meccanica; e a questo singolare robot Trnka, oltre alla freddezza della macchina, conferisce una carica di sprezzante irrisione e di aggressiva ostilità nei confronti della bimba che gli è affidata. Così, sotto all'assunto fondamentalmente giusto del film che la macchina non potrà mai sostituire il calore dell'affetto umano, si insinuano i segni di un'impostazione che non esito a definire reazionaria, nella concezione che i prodotti del progresso scientifico siano in qualche modo oscuramente ostili all'uomo.

Kybernetica  babička Dal film di pupazzi Kybernetica babička (t. l. La nonna cibernetica) di Jiří Trnka (Cecoslovacchia).

A una concezione di questo tipo approdano pure il sovietico Celovek anfibija (t. l.: L'uomo anfibio) di Vladimir Chebotaryov e Gennadi Kazansky** e l'americano X-The Man with X-Ray Eyes di Roger Corman.

In termini più palesi questo assunto è presente nel film sovietico che si rifà apertamente al tema e alla concezione morale del «Frankenstein» di Mary Shelley. Tratto da un romanzo di Bljaev, sulla base dello spunto fantascientifico dell'uomo anfibio, cui la possibilità di vivere nell'acqua come sulla terra è stata data dal padre scienziato, con un intreccio inutilmente complesso si svolge la banale storia dell'amore contrastato, prima da un avido e astuto pescatore di perle, poi dalla natura stessa del mostro, tra l'uomo anfibio e una giovane donna di cui si è innamorato. Dilungandosi in una stanca narrazione della vicenda, che, ambientata in un paese sudamericano, è zeppa di ingenuità e di contraddizioni, gli autori del film perdono l'occasione di approfondire le interessanti implicazioni psicologiche e sociali dell'insolita situazione. Come la storia della Shelley si conclude con la pazzia del mostro che si rivolta contro il suo creatore, responsabile di tutti i suoi dolori, così amaramente si risolve anche questo racconto con la separazione dei due innamorati, perché modificazioni fisiologiche sopravvenute nell'organismo dell'uomo anfibio lo condannano a vivere per sempre nell'acqua, e con il rimpianto addolorato dello scienziato, che assume il significato di un monito a non superare nella ricerca scientifica certi invalicabili limiti imposti dalla natura. Ma se è comprensibile come più di un secolo fa, reagendo ai facili entusiasmi positivistici, la Shelley guardasse con timore a certi sviluppi della ricerca scientifica, riesce difficile capire come questo stesso atteggiamento possa essere assunto nell'Unione Sovietica, tutta tesa alla ricerca scientifica, e che in alcuni settori di essa è il paese più progredito, a meno che questo non sia un segno di quel processo di reazione alla cultura ufficiale mosso da alcuni gruppi intellettuali, che comunque però, almeno nel caso specifico, costituisce un netto regresso ideologico e morale.

Celovek anfibija Da Celovek anfibija di Vladimir Chebotaryov e Gennadi Kazansky (Urss).

A una conclusione simile a quella di Celovek anfibija perviene X-The Man with X-Ray Eyes di Corman, film dal solido impianto spettacolare, ma artisticamente povero e piuttosto schematico. Uno scienziato, interpretato da Ray Milland con mestiere, ma senza la bravura che gli è stata riconosciuta dai recensori della stampa quotidiana, scopre un farmaco che acuisce il potere visivo, consentendogli di penetrare oltre la superficie degli oggetti e .di vederne la struttura interna. I suoi colleghi non gli dànno credito ed egli, dopo aver ucciso accidentalmente un uomo, è costretto a fuggire e a proseguire nascostamente i suoi esperimenti in un baraccone di fiera. Scoperto, deve fuggire di nuovo e, dopo aver sbancato una casa da gioco grazie al suo potere di vedere per trasparenza il valore delle carte degli altri giocatori, non potendo ormai più controllare la modificazione che ha subito il suo sistema ottico, che gli trasmette delle immagini in cui non sono più riconoscibili gli oggetti che lo circondano, va a finire nel bel mezzo di una riunione di una setta religiosa, dove viene maledetto come creatura del demonio, da lui ispirata a varcare gli invalicabili limiti che la divinità ha imposto alla natura umana. Anche qui, dunque, perdendo l'occasione di approfondire il molto più interessante tema iniziale dell'indifferenza e dell'incredulità con cui viene accolta la scoperta suscettibile di applicazioni socialmente molto utili, che avrebbe consentito di fare di questo film un'opera significativa, sulla scia della brechtiana «Vita di Galileo», il film approda a una concezione pregna di medioevali superstizioni che, proprio nell'ambito della narrativa di Science Fiction è stata superata già da molti decenni, a opera soprattutto di narratori come Asimov, Pohl, Sheckley, Wyndham, etc.

X - The Man with X-Ray Eyes Da X-The Man with X-Ray Eyes di Roger Corman (Usa).

Sul cattivo impiego di una scoperta scientifica è viceversa imperniato un altro film americano, intriso di psicoanalisi da salotto, Attack of Puppet People di Bert I. Gordon, che racconta la storia di un burattinaio malato di solitudine che lega a sé gli amici riducendolì a proporzioni di bambole. Il film, che si regge esclusivamente sulle situazioni paradossali derivanti dalla disparità di dimensioni tra gli uomini in miniatura e gli oggetti d'uso comune di proporzioni normali tra cui si muovono, e che avevano trovato comunque una resa più efficace nel vecchio Dr. Cyclops (Il dr. Cyclops) di Ernest B. Schoedsack, è un prodotto tanto scadente ed insignificante che non merita se ne parli più a lungo.

La riduzione degli esseri viventi a piccole proporzioni, e che in questo caso vengono anche cristallizzati, è pure lo spunto fantascientifico dello spiritoso film francese di Pierre Kast Amour de poche, che però, pur con quella narrazione rapida e spigliata che è caratteristica di quasi tutta la produzione francese, riducendosi alla storia dello scienziato che rimpicciolisce l'amante per sottrarla ai controlli gelosi della fidanzata e che se la porta in tasca finché può ridarle le proporzioni normali per amoreggiare con lei, non si solleva al di sopra del livello di un qualsiasi film commerciale da programmazione estiva.

Pure spiritoso, ma di maggiori pregi, non dico sul piano artistico, ma almeno al livello del divertimento, è l'altro film di Kast, Monsieur Robida, prophète et explorateur du temps. Con un intelligente impiego del movimento di macchina e con un buon montaggio, Kast in questo cortometraggio riesce a ben valorizzare, pur senza togliersi il piacere di irridere garbatamente Robida e la fantascienza contemporanea, l'opera piena di estro e di fantasia del disegnatore italiano dell'altro secolo. Non è casuale che Pierre Kast riesca meglio nel cortometraggio che nel lungometraggio. Come i suoi colleghi della nouvelle vague, arrivato al cinema attraverso le pagine dei Cahiers du cinéma, di cui è stato anche collaboratore, al film si rivolge con l'animo dello sperimentatore più che con l'esigenza di esprimere un mondo poetico e ideologico organicamente compiuto, conseguendo risultati sostanzialmente sterili e intellettualistici, che solo nel breve arco del cortometraggio possono essere riscattati dalla presenza di un'effettiva fantasia e di una buona dimestichezza con il mezzo espressivo.

Monsieur Robida, prophète et explorateur du temps Da Monsieur Robida, prophète et explorateur du temps (Francia).

Proprio a Kast, sostenitore, come i suoi colleghi dei Cahiers du cinéma, di una critica irrazionalmente affidata al gusto, ritengo si debbano attribuire gli acritici entusiasmi –da cui non è andata esente nemmeno la giuria, in cui d'altra parte il regista francese era presente e in grado di esercitare le sue suggestioni– che sono stati tributati al cortometraggio francese La jetée di Chris Marker. Dopo la terza guerra mondiale tutto è stato distrutto e solo pochi sono i superstiti, rintanati nei sotterranei del métro parigino. Qui uno scienziato tenta un esperimento e, facendo perno sul nitido ricordo che un uomo conserva del volto di una donna incontrata prima del disastro: riesce a rimandarlo a ritroso nel tempo fino a fargli raggiungere il momento cui si riferisce il ricordo. Nella speranza di trovare in quel tempo medicinali ed aiuti per gli uomini ustionati dalle esplosioni atomiche, l'esperimento viene tentato più volte e, nel passato, l'uomo gode della compagnia della donna, di cui si è innamorato, in un clima di spensieratezza continuamente contrapposto alla drammatica situazione degli uomini che vivono nel métro. Quando l'uomo si decide a lasciare definitivamente il suo tempo per vivere solo nel felice passato, il film si conclude con la sua morte, forse in omaggio al principio fantascientifico che, pur consentendo i viaggi nel tempo, non vuole i paradossi derivanti dalla compresenza di due diverse determinazioni temporali di uno stesso uomo. Nulla da eccepire sulla struttura fantascientifica del film, che potrebbe anche essere considerato un interessante tentativo di portare sullo schermo in modo non convenzionale la tematica dei viaggi nel tempo e dei relativi paradossi. La particolarità di questo film, che in tono esclamativo più che criticamente ponderato ha fatto sostenere addirittura a certi giornalisti che esso è «destinato alla storia della cinematografia», è che esso è costituito dal montaggio di immagini fisse. Non nego che il montaggio di questa serie di suggestive fotografie, anche se risente di una certa meccanicità e sembra rispondere a uno schema prestabilito soprattutto nella contrapposizione di passato e presente, che è la nota dominante del film, sia intelligente e riesca a creare situazioni drammatiche di un certo valore espressivo. Ma siamo ben !ungi dall'«opera di alto valore in cui l'autore è riuscito a intuire un nuovo linguaggio». Si ha la impressione di trovarsi di fronte a un nuovo Hiroshima, mon amour; come allora un gioco intellettualistico scambiato per rinnovamento del linguaggio e dialoghi dalla struttura soverchiamente letteraria, che non riescono a fondersi con l'immagine in una superiore unità poetica, erroneamente valutati come fattore di artisticità. Non basta togliere il movimento all'interno del quadro per dar vita a un nuovo linguaggio e per fare un'opera d'arte, e non è bastato a questo cortometraggio che, pur entro certi limiti interessante, denuncia palesemente la sua natura di opera progettata e realizzata a tavolino, fuori di ogni rapporto con la vita e con le idee, che sole possono ispirare la creazione artistica.

Un testo letterario ed enfatico, dovuto alla penna di Ray Bradbury, science fictioneer dallo stile solitamente vigoroso ed efficace che spesso raggiunge la poesia (un suo romanzo, «Cronache marziane», è stato ospitato nella «Medusa» da Vittorini), commenta i disegni inespressivi e cromaticamente volgari dell'americano Icarus, Mongolfier, Wright di Julius Engel, cortometraggio che traccia una rapida e sommaria storia dei tentativi umani di volare e che si chiude sulle speranze di poter raggiungere le stelle in un non lontano futuro.

Icarus, Mongolfier, Eright Da Icarus, Mongolfier, Wright di Julius Engel (Usa).

Enfatico e declamatorio è anche il tono del commento, al quale, ancor più che all'immagine, si affida il cortometraggio italiano Le origini della fantascienza di Armando Silvestri e Cesare Falessi, che, attraverso la presentazione di un campionario mal scelto di illustrazioni di pubblicazioni fantascientifiche, con un montaggio piuttosto fiacco tenta di fare una storia della Science Fiction, mancando però al suo scopo. Partendo da una definizione restrittiva, che, vicina a quella di Bergier, tiene conto solo dei racconti che si basano su legittimi e prevedibili sviluppi del progresso scientifico stricto sensu, pur ponendo sempre l'accento sull'uomo e sulle sue opere, gli autori dànno della fantascienza un'immagine distorta e superficiale che impedisce loro di farne una storia anche sommaria.

Al filone che Silvestri e Falessi hanno messo in luce in modo parziale, senza nemmeno accennare per esempio a quello più interessante della fantascienza sociologica, appartiene l'americano Journey of the Stars di John Wilson, che, se è certamente un buon documentario didattico, annoia non poco con la sua ricostruzione del panorama stellare cui assisterebbe un cosmonauta che lasciasse la terra per spingersi fino alla nebulosa di Andromeda.

Journey of the Stars Da Journey of the Stars di John Wilson (Usa).

Più interessante e spettacolarmente più piacevole è il lungo documentario sovietico Zvjezdntje bratia ( t.l.: I fratelli del cosmo) di Bogopolev, che mostra tutte le prove e gli allenamenti preliminari cui furono sottoposti i cosmonauti Nikolajev e Popovic e che li segue poi nel loro volo spaziale fino al ritorno a terra. Non si tratta in realtà di fantascienza, ma tutto il segreto da cui sono avvolti gli esperimenti cosmonautici dà egualmente questo sapore al film che, raccontato scioltamente, è però appesantito dall'apparato propagandistico che si inserisce come elemento di disturbo, spezzando il genuino interesse suscitato da questa inedita documentazione sulla preparazione del volo spaziale.

Ma se il desiderio di confrontare gli attuali progressi nel campo della cosmonautica con quelli immaginati dai narratori di Science Fiction giustifica la presenza del film sovietico al festival, non è chiaro quali siano le ragioni che hanno indotto gli organizzatori a inserire il disegno animato inglese Little Island di Richard Williams, che sviluppa un tema esclusivamente fantastico. Con una buona tecnica di animazione e con una notevole fantasia figurativa, nel cartoo è narrata la storia di tre omini simboleggianti rispettivamente la verità, la bellezza e il bene, che si trovano su un'isola deserta dove, sviluppando ciascuno attraverso una serie di raffìgurazioni simboliche il concetto da lui rappresentato, pervengono all'inevitabile conflitto che si risolve alla fine nella distruzione totale. Certamente il migliore disegno animato di questo festival, Little Island lascia un po' perplessi per la sovrabbondanza dei simboli non sempre comprensibili e per il suo fondamentale astrattismo.

Little Island Da Little Island di Richard Williams (Gran Bretagna).

Nettamente inferiori gli altri due cortometraggi inglesi, il mediocre Moon Struck di John Halas, realizzato con pupazzi animati di carta, che racconta la storia di due cani che vanno sulla luna a catturare un osso gigantesco, e il banale The World of Little Ig, di Frank Tipper, disegno animato che ripete con scarsa originalità i modi dei peggiori cartoon disneyani.

Sono rimasti da esaminare ancora due film che con diverso impegno e risultato svolgono il tema del viaggio interplanetario, l'inglese Masters of Venus di Ernest Morris e il cecoslovacco Ikarie XB l di Jindrich Polak.

Masters of Venus, che in realtà non è un film ma l'insieme di otto episodi realizzati per la televisione dei ragazzi, è la storia piena di incoerenze e di ingenuità di due giovanetti che, partiti per sbaglio per Venere con un'astronave, vincono i venusiani e sventano un loro attacco alla Terra. Realizzato con la pulizia e il decoro tecnico caratteristici della produzione cinematografica britannica, il film è un tipico esempio di quello che Kingsley Amis chiama «melodramma spaziale» e che indica giustamente come il filone della fantascienza più immatura.

Non può essere considerato viceversa sotto questa luce Ikarie XB 1, che è senza possibilità di dubbio il miglior film di questo festival e in ogni caso un'opera di non trascurabile valore. Evitando i luoghi comuni del viaggio spaziale e il paradossale concentrarsi di eventi eccezionali, Polak ci dà un'opera veramente matura e completa, in cui la fantascienza, lungi dall'essere pretesto per i consueti quanto inutili giochi di prestigio, diviene la condizione· per analizzare il complesso di problemi psicologici e sociali determinati dalla convivenza di quaranta persone lanciate nello spazio su una gigantesca astronave alla ricerca di nuove civiltà. Con un ritmo lento e pacato che bene si armonizza con la condizione di questo gruppo composto da uomini e donne di nazionalità diverse che, !asciatasi dietro la terra, viaggiano nello spazio inesplorato verso l'ignoto, il film racconta la storia di questo viaggio, la cui regolarità è interrotta da due soli episodi drammatici intorno a cui si polarizzano le ansie, le paure e le speranze della piccola collettività. Dopo che l'astronave da poco ha lasciato la terra, quando appena l'equipaggio ha cominciato ad accettare questa nuova realtà, nello spazio si incontra un disco volante del XX secolo il cui equipaggio è stato vittima di un ordigno bellico del suo tempo. Due uomini sono mandati a esplorare il disco che contiene ancora delle bombe atomiche che, per un incidente, esplodono causando la loro morte. Il montaggio lento e il quasi totale silenzio in cui si svolge conferiscono a questa sequenza un carattere quasi sacrale a questo contatto con il passato e preparano alla soluzione tragica, che assume un preciso significato morale e il senso di una netta presa di posizione nei confronti dell'insensatezza del nostro secolo. Questa resa dei conti con il proprio passato costituisce proprio la premessa e la prima condizione morale dell'esplorazione dell'universo, che farà incontrare alla fine i cosmonauti con un popolo altamente civile. Anche l'altro episodio, che precede la fine, acquista in questo senso un significato preciso e ha la funzione non meccanica, ma rispondente alla coerenza dell'opera che deve ancora vedere completarsi la presa di coscienza degli uomini della responsabilità e della dignità della loro impresa, di portare la tensione e la drammaticità a un parossismo che si scioglierà solo, proprio quando a bordo dell'astronave, mentre si leverà il pianto di un bimbo appena nato, ci si renderà conto che se ormai sarà visibile un nuovo mondo abitato lo si dovrà all'aiuto che i suoi civili abitanti avranno dato all'astronave salvandola dalla morte. Questa seconda sequenza, di notevole valore drammatico, tutta condotta sul continuo crescendo di una suspense non volgare, è l'episodio della crisi di un pilota che, impazzito perché è stato esposto a delle radiazioni atomiche, riassume in sé le ansie e le incertezze di tutto l'equipaggio, dibattuto tra la paura dell'ignoto nell'acuta nostalgia della casa terrestre e il desiderio di continuare l'esplorazione nella coscienza di essere la punta più avanzata delle aspirazioni e della volontà degli uomini tutti. Una sequenza condotta avanti magistralmente, come l'altra del disco volante e come tutte le altre che in queste si risolvono,senza perciò avere una minore importanza e valore nell'economia generale del film, nella quale un ruolo non inferiore che all'interpretazione e alla fotografia è affidato all'ottima scenografia dell'architetto Zazvorka, cui va il pregio di aver creato uno sfondo sobrio ed equilibrato alla vita della comunità in viaggio e che a esso, come in questa sequenza, ha saputo conferire un notevole valore espressivo (la freddezza metallica e la struttura razionale dei lunghi corridoi in cui si muove il pilota pazzo creano un efficace contrappunto al suo bisogno tutto emotivo e irrazionale di ritornare sulla Terra tra gli uomini). Il monito implicito nell'episodio del disco volante, la presenza a bordo dell'astronave di uomini di paesi diversi non più divisi da rivalità ideologiche e politiche, soprattutto il finale del film quando, mentre i cosmonauti superano la crisi di sfiducia e d'impotenza (la stessa crisi –si badi bene– da cui escono sconfìtti i personaggi di Celovek anfibija e di X), gli esseri di un altro mondo dànno loro aiuto dimostrando una superiore solidarietà tra esseri civili, conferiscono al film un impegno e un significato morale che ne fanno un'opera di alto valore emblematico. Dramma fantascientifico del XX secolo hanno definito gli autori questo loro film, che del dramma ha l'ampio respiro e la solidità architettonica e che avrebbe meritato di avere competitori di più alto livello di quelli che gli sono stati a fianco in questo festival.

Ikarie XB 1 Da Ikarie XB 1 di Jindrich Polak (Cecoslovacchia).

E l'augurio che faccio a noi e agli organizzatori del festival è che nella sua prossima edizione, rinunciando ai criteri restrittivi che si sono imposti quest'anno, essi vi accolgano film più numerosi, di più alto livello artistico, di maggior interesse e soprattutto più largamente rappresentativi delle varie direzioni in cui si muove il fìlm di fantascienza.

Dario Mogno

 

*   Tratto da Bianco e Nero, anno XXIV, numero 7-8, luglio-agosto 1963 (pagg. 96-109).
** Per un errore indotto dal materiale informativo distribuito dall'Ufficio stampa del Festival, nell'articolo originale il film è attribuito a Terentev e Nemcenko.